Insegnare al detenuto la strada per tornare di nuovo a sperare.

La libertà è un’idea

Ognuno di noi ha il diritto di vivere una vita libera. Ma le sbarre non sono solamente quelle che ti circondano all’interno di un carcere. Le sbarre circondano anche la vita di noi persone libere, pure se non le vediamo, esse stanno là a ricordarci che viviamo in tante prigioni. Le prigioni dell’anima sono i nostri pregiudizi, i ricordi che ci fanno soffrire, le aspirazioni che non sono diventate realtà, le malattie, le amicizie o le relazioni sbagliate che non abbiamo il coraggio di troncare.
Qual è la linea di confine che separa i detenuti dagli uomini liberi? No, non sono le sbarre, e neanche le sentenze. La libertà è innanzitutto un’idea, un moto interiore che nasce dal profondo e che ci spinge come il vento a percorrere tutte le strade che ci portano davanti a tante porte: una sola è quella giusta. Quanti ostacoli nel tragitto? Infiniti… Le emozioni che ci fanno perseverare: il coraggio, la tenacia, l’illusione di poter cambiare le cose per sé e per la propria famiglia.

Ecco, al detenuto è mancato questo. È mancata l’impalcatura di una vita fatta di futuro, di speranza, di perseveranza. Il reo è rimasto impigliato nella rete di un pescatore maldestro che lo ha illuso, facendolo abboccare ad un amo malvagio. È colui che non ha saputo rimanere a galla perché non ha potuto o non ha voluto vedere che in quel pozzo non ci fosse acqua limpida. Ma solo acqua che non placa la sete.

A noi volontari ed a tutto il personale carcerario, spetta l’annoso compito di insegnare al detenuto la strada per tornare di nuovo a sperare, a guardare al futuro, a riprendere ad amare. Amare in modo sano, virtuoso, sapendo trasferire a chi gli sta intorno il bene, il coraggio, la spinta ad andare avanti. Ci vuole equilibrio, umiltà, tenacia da parte di tutti.

É per questo che mi sono dedicata con passione alla stesura del mio libro. “Anche il Carcere Viene Natale è un inno alla speranza. Non è un punto di arrivo il carcere. Ma il momento più significativo per la vita di chi ha commesso un reato. Il momento in cui si percorre il fondo del baratro per poi rinascere. Nanà ce lo insegna innanzitutto raccontando la sua storia, condividendo con il lettore le sue emozioni più profonde, la sua vita personale, i suoi successi professionali. E dopo descrivendo il suo precipizio, il buio iniziale e poi la resilienza successiva grazie alla quale tesse relazioni profonde e sincere. È la sua generosità che apre il sipario di un mondo oscuro, velato da pregiudizi e tabù. L’intesa di Nanà con il personaggio di Amanda è lo spiraglio di luce nell’oscurità delle sbarre perché è grazie ad essa che il lettore si immerge nella profondità delle storie e supera il preconcetto di una realtà che va conosciuta, non evitata. Veritas vos liberabit (“la verità vi renderà liberi”) afferma Gesù nel Vangelo di Giovanni.

Invito tutti alla lettura del libro ed alla diffusione delle sue storie. Un gesto di altruismo in una società permeata da un profondo egoismo. Un gesto che può rappresentare il punto di svolta verso un vivere comune basato non più e non solo sulla ricerca dell’io, ma su una visione a 365 gradi che amplia l’orizzonte includendo tutto quanto il creato ci offre: io e l’altro. Una sola cosa. Un solo obiettivo comune per migliorare, per avanzare, per progredire.

Per approfondire, guarda l’intervista di Giovanna Di Francia presso Enti ed Istituzioni TV, (canale 268 del digitale terrestre).

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